Si erano
conosciuti in un tardo pomeriggio invernale sul "Sentierone" , lo
struscio di Bergamo frequentato a quel tempo da frotte di ragazze e ragazzi
prima di cena.
Durante la
giornata una leggera nevicata aveva lasciato pozzanghere di neve calpestata e
le due ragazze calzavano improbabili doposci. Una con stivaletti ricoperti di
pelo bianco, l'altra con calzature basse bianche con bordure rosse.
Antonio,
Popi e Claudio, chiamato "camamèla" per la sua flemma, le conoscevano
da tempo e, per quel fine settimana, stavano organizzando una delle tante festicciole.
Iniziarono
così a frequentarsi amichevolmente
approfondendo, di volta in volta, la conoscenza reciproca.
Lei, quella
delle calzature basse bianche e rosse, metteva spesso a disposizione la propria casa,
cantina annessa, motivo per cui era diventata una delle "colonne" del
gruppo.
Nei mesi
estivi era la cantina, e il giardinetto
attorno, che ci ospitava; nei mesi invernali, invece, il suo salotto.
Un
pomeriggio domenicale del successivo autunno, il ragazzo e la ragazza si
diedero appuntamento in casa di lei per ascoltare musica. La giornata novembrina
era piovosa e velata da una leggera nebbia e, caso eccezionale, non si era
riusciti ad organizzare alcun "festino".
Nel salotto,
caldo e accogliente, il giradischi suonava
le canzoni recenti per la maggior parte invitanti al ballo della mattonella, in
buona sostanza la musica che canagliamente era il pretesto per ballare cik to
cik .
L'invito ad
un passo di danza era palese e non fu lasciato cadere, si alzarono in contemporanea
e seguirono languidamente il metronomo scandito dalla musica.
L'atmosfera era
romantica, una leggera pioggerellina batteva contro i vetri della finestra, il
tepore del salotto, la luce soffusa di una lampada, fecero il resto. Lui
lentamente pose la bocca su quella di lei e la baciò.
Un attimo
(quanto studiato?) da parte di lei e quasi, dico quasi, subito la reazione: «....ma,
che fai ? ».
Quel
"quasi" è la convinzione di ancor oggi, che il tranello aveva
funzionato e il cacciatore era diventato la preda.
Attimo di
esitazione e, scusandosi ripresero a ballare con una piccola variante, la testa
di lei appoggiata sulla sua spalla e lo sguardo sognante.
Ormai si era
fatto tardi e incombeva il rientro a casa per cena. Spento il grammofono,
riposto i dischi nelle custodie il ragazzo indossò l'impermeabile per
raggiungere la fermata dell'autobus. La ragazza si offrì di accompagnarlo con
l'ombrello.
Nel
tragitto, percorso nel silenzio, la scusa di ripararsi meglio dalla pioggia,
ebbe l'effetto di vederli stringersi vicini l'un l'altra e lo sguardo misto tra
il sognante e la soddisfazione sancirono la di lei vittoria.
Quel
"bacio rubato" fu il primo di altri baci, non
più "rubati", in oltre cinquantacinque anni di matrimonio di
Gabriella e Alberto.
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