La
deviazione compare all’improvviso. Uno squarcio di verde intenso, assolato, tra
il fitto della vegetazione del sentiero principale.
Un ampio
prato e, al centro, una costruzione con il rosso marrone del tetto.
L’edificio
principale è grande, affiancato da corpi diversi di dimensioni minori.
L’abbaiare di un cane, non ancora visibile, segnala la presenza di qualcuno.
Mi avvicino
con precauzione non sapendo quale accoglienza riceverò ma, almeno per ora, nessun
indizio di presenza umana.
Osservo i muri
del caseggiato costruiti con pietre ben lavorate e saldate l’un l’altra con un
lieve strato di malta.
La
parsimonia dei montanari.
Le piccole
finestrelle sono fornite da inferriate che assicurano l’impenetrabilità di
malintenzionati.
Passo sulla
parte anteriore e mi ritrovo su un piazzaletto erboso che, verso valle, è cinto
da alcuni alberi da frutta: pruni e noci.
Accanto alla
porta, appeso alla parete, un vecchio paiolo contenente un geranio rosso,
fiorito. Una panca ricavata da un tronco ben piallato, invita alla sosta per
godersi il panorama della valle e dei monti circostanti.
Ed ecco
apparire l’autore della precedente abbaiata, un involucro peloso con il manto a
chiazze grigie penzolante sui lati: un cane pastore da mandria con un occhio
azzurro e, l’altro, marrone.
E’
diffidente e si avvicina con cautela, lo sguardo sembra chiedere chi sono a
cosa voglio.
All’inizio
scansa il mio tentativo di una carezza, poi mi annusa le gambe e, con
circospezione, la mano che gli offro. Non va oltre, si siede e con la zampa
posteriore si concede una grattata all’orecchio.
Mi siedo
sulla rustica panca, accanto al paiolo dei gerani, e il “pastore” mi si
accuccia tranquillamente accanto.
Forse
apprezza un poco di compagnia giacché nei dintorni non c’è anima viva.
Dopo qualche
minuto si alza e mi guarda; sembra invitarmi a visitare il luogo e si avvia
verso la porta aperta della stalla. Lo seguo.
L’interno
denota la recente presenza di animali, mucche deduco dagli escrementi sparsi
sullo strame di paglia e fieno. L’odore pungente del letame conferma che è
tuttora il loro ricovero notturno.
Il cane
prosegue lentamente e si ferma, come fosse una guida, davanti ad un altro
ingresso con la porta sbarrata.
Guardo
l’interno, tra le sbarre dell’inferriata della piccola finestra posta accanto
all’ingresso, e mi accorgo che alcune tegole del tetto sono sprofondate accompagnate,
nella loro rovinosa caduta, dalle travi che le sostenevano. Nella caduta hanno pure
travolto l’assito del piano superiore che ora giace scomposto a pochi metri
dalla porta.
Un’altra
stalla, accanto, sembra risparmiata dal crollo, anche se indica l’abbandono da
tempo.
Proseguendo
la visita, sempre accompagnato dalla mia guida con l’occhio azzurro e l’altro marrone,
noto che tutte le piccole finestre, sia quelle al piano terra sia quelle ai
piani superiori, sono munite da inferriate, eccellente opera di mastri ferrai
abili nel trattamento del ferro battuto.
Il cane si
siede e, con la solita mossa di grattarsi l’orecchio con la zampa posteriore
seguita dallo scuotere della testa, sembra dirmi: « Vedi come l’incuria riduce
queste opere costruite anni orsono con il sudore e la fatica dell’uomo. Tra
queste mura lavorava e viveva tanta gente. Su questo terrazzamento giocavano i
bimbi i cui padri lavoravano in miniera, mentre noi, custodi della mandria,
restavamo a far da guardia e proteggerla dai pericoli. Oggi sono rimasto solo
io e il mio vecchio padrone, impegnato in altre incombenze, a occuparsi di
poche mucche che pascolano su in alto, verso il limite del bosco».
Forse è suggestione
ma mi pare di cogliere tristezza e nostalgia nello sguardo del “pastore”.
Suggestione,
sicuramente, ma istintivamente lo accarezzo dicendo: «Coraggio, vecchio mio,
siamo in pochi a ricordare i tempi passati !».
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