Le paure di Monica

Le paure di Monica



La giornata era stata calda, afosa e, tramontato il sole, Monica aveva spalancato le finestre per far entrare quel poco di aria serale che avrebbe ventilato, seppure lievemente, le camere.

In lontananza qualche bagliore di lampi lasciava intravedere un, auspicabile, temporale notturno, ma sino al quel momento la cappa di calore insisteva sulla campagna.

Si, perché la casa di Monica era abbastanza isolata nella campagna, a poche centinaia di metri dal paese, ma senza altre abitazioni vicine. Un piccolo giardino e l'orto familiare attorno e poi campi di grano e di colture foraggere, buone per il fieno per alimentare le due vacche nella stalla.

L'unica eredità, assieme alla casa, dal padre deceduto alcuni anni prima.

Nel giardino, Monica, coltivava rose, echinacee, fiori simili alle margherite ma con  diversi colori, che  fioriscono da aprile a settembre, e, la sua passione, un cespuglio di azalee variopinte.

Mentre osservava dalla finestra quel lontano lampeggiare, Monica pensava ai suoi fiori in piena fioritura e alla paura che una possibile grandinata glieli potesse rovinare. D'altra parte, l'altra metà del bicchiere, auspicava una rinfrescata benefica che rigenerasse l'insopportabile cappa di calore.

S'era fatto buio, Giovanni, suo marito, era di  turno quella notte alla centrale elettrica distante una decina di chilometri dal paese e, Monica, dopo aver messo a letto i due pargoli nella cameretta al piano di sopra, Marco di otto anni e Rosanna di due, si era attardata a riassettare la cucina e, con le finestre spalancate, ad assaporare la tranquillità e il silenzio della campagna.

I due si erano sposati dieci anni prima e Monica, che aveva sempre vissuto in città, aveva seguito Giovanni nella sua casa di famiglia, accettando con entusiasmo la possibilità di sottrarsi al caos della città per vivere un tranquillo e più salubre futuro nel verde della campagna. Poteva dedicarsi alla sua passione per il giardinaggio senza le polemiche discussioni condominiali.

Marco, frequentava le scuole del paese mentre Rosanna non aveva ancora l'età per frequentare la scuola materna e rimaneva a casa allietando, con il suo continuo chiacchiericcio, le giornate di Monica.

Solo quell'inquietante pensiero del temporale, lontano, e di una possibile grandinata sui suoi amati fiori.

Il buio ormai si era infittito e, dalla finestra era ormai impossibile riconoscere lo steccato che circondava la casa, costruito da Giovanni nelle giornate di riposo,  e ancor più in la, il ciliegio in mezzo al campo coltivato a foraggio, alto e frondoso, simile ad un custode che vigila sulle coltivazioni.

I lampi del possibile prossimo temporale erano ancora distanti per rischiarare la vicina campagna, e il borbottio dei tuoni assomigliava al rombo di un aereo su in alto.

Qualche giorno prima, Monica, aveva incontrato, nel supermercato del paese, alcune conoscenti le quali, chiacchierando, le avevano raccontato di furti avvenuti in alcune abitazioni. Porte scassinate e asportazione di denaro e gioielli trovati nei cassetti di casa. In buona sostanza era maggiore il danno per la riparazione dei serramenti scassinati rispetto al bottino trafugato. Ma la preoccupazione che circolava era alimentata dal rischio di trovarsi faccia a faccia con i ladruncoli e, magari, essere aggrediti per reazione.

«Per me sono zingari»  aveva sentenziato la Marisa, quella che evitava anche di frequentare le bancarelle durante la Festa dell'Immacolata. Chiunque avesse il colore del volto leggermente "abbronzato", era uno zingaro.

«No, no, sono i nigher che sono ospitati nella casa comunale in fondo al provinciale.» aveva ribattuto la Carlina, la moglie del fiorista.

Prima di salutarsi avevano rivolto una frase, alla quale Monica non aveva dato peso ma che quella sera le era tornata alla mente: «Stai attenta, Monica, chiudi bene casa alla sera, é così isolata la tua. Fossi in te farei mettere le inferriate alle finestre. Parlane con Giovanni.»
A quel ricordo, Monica, sentì un brivido correre lungo la schiena, nonostante il caldo afoso della stanza. Il suo pensiero corse immediatamente ai due bimbi addormentati nella cameretta al piano di sopra e una sottile lama di paura iniziò a serpeggiarle nella mente.

Ne aveva parlato con Giovanni circa l'opportunità di mettere quelle benedette inferriate, ma Giovanni con un sorriso aveva l'aveva dissuasa: «Chi vuoi che venga a rubare a casa nostra. Non siamo ricchi, non abbiamo la cassaforte e potrebbero solo portar via due galline dal pollaio. Sono dei balordi - aveva continuato Giovanni -  per due "robapoie" non voglio che la casa assomigli ad un carcere, con le grate alle finestre!», e aveva chiuso la discussione.

Marisa si guardò attorno e le finestre spalancate in attesa del refolo di aria fresca le sembrarono un richiamo esplicito ad entrare. Ma chi, gli zingari, come sospettava Marisa, o i "nigher" come sosteneva Carlina ?

Comunque, chiunque fossero e di qualsiasi colore avessero la pelle, potevano sorprenderla sola con due creature in casa e con il marito al lavoro tutta notte.

Marisa non era mai stata razzista, al contrario. Quando il gruppo di extracomunitari, una decina, era arrivato al paese, aveva collaborato, con altri volontari, alla sistemazione dei locali, camere e cucina, procurando pentole e stoviglie che da tempo non usava e che aveva riposto in solaio. Si era sentita utile come quando da ragazza con altri amici, prestava volontariamente aiuto agli anziani del suo rione, in città.

Il borbottio dei tuoni si era fatto più vicino e intenso mentre i lampi si susseguivano con bagliori rossi che a tratti davano colore tutt'attorno. E con l'avvicinarsi del temporale anche il vento si era irrobustito procurando sibili, quasi urla strazianti, tra la casa e la stalla.

Marisa non si decideva a chiudere la finestra ancora spalancata. Il vento le scompigliava i capelli ma lei fissava il ciliegio nel campo che si piegava letteralmente da un lato all'altro.

Un lampo secco, seguito da un rumore di legno spaccato la spaventò svegliandola da quel torpore, facendola decidere che l'ora di chiudere le persiane e i vetri era arrivata.

Iniziavano a scendere grossi e rumorosi goccioloni.

Le gocce rimbalzavano sul davanzale e mandavano schizzi in faccia a Marisa mentre si sporgeva per afferrare la persiana e chiuderla. Mentre lo faceva le sembrò di scorgere un'ombra accovacciata accanto allo steccato. La fantasia alimentata dal frastuono dei tuoni e dal chiarore intermittente dei lampi fece quaranta e lasciò spazio alla paura.

Una paura incontrollata che la fece salire velocemente le scale, entrare nella cameretta dei bambini e sprangare la porta.

Cercò di fermare il tremore delle gambe dapprima sedendosi su una sedia accanto ai lettini, poi bevendo un goccio d'acqua dal bicchiere che solitamente lasciava sul tavolino da notte in caso di sete notturna dei piccoli. Si mise le mani sul volto e le passò sui capelli ancora arruffati dalla ventata entrata inaspettatamente dalla finestra mentre assisteva all'arrivo del temporale e fuori il frastuono aumentava. Tuoni e  i sibilii del vento e dalle fessure delle persiane si scorgeva il lampo del fulmine che scaricava la sua titanica forza sul terreno.

Ora il pensiero si attorcigliava attorno a quell'ombra accovacciata che le pareva aver visto accanto allo steccato. Era uno dei "balordi robapoie", come aveva sostenuto Giovanni o qualche altro malvivente con intenzioni più bellicose ?

Accostò la sedia al lettino di Rosanna, allungò le braccia nell'atto di abbracciarla, pose il capo accanto  a quello della bimba e...si addormentò.

Un sonno agitato, pieno di incubi che la svegliavano di soprassalto per poi, sentito il respiro normale e ritmico dei due pargoli, riprendere tra il fragore dei tuoni che via via si allontanava.

La trovò in questa posizione Giovanni al mattino, al rientro dal lavoro.

Parcheggiata l'utilitaria in cortile, aveva notato una macchia scura accanto alla staccionata, si era avvicinato e, tra la pelliccia arruffata due occhi imploranti di un cane spaventato che aveva passato la nottata cercando rifugio sotto il cespuglio di rose. Un lieve scodinzolare dell'animale lo indusse ad invitarlo ad entrare in cucina e offrirgli qualche boccone di pane e una ciotola di acqua fresca.

Non trovando l'usuale colazione apparecchiata sul tavolo, Giovanni era poi salito in camera da letto per assicurarsi che la moglie non avesse problemi, ma il letto in ordine l'aveva incuriosito. Era passato quindi alla cameretta dei figlioli e, con sorpresa per la presenza anche di Monica nella posizione di "protezione materna", aveva trovato il resto della famiglia.

In silenzio, era ridisceso in cucina e si stava apprestando ad apparecchiare il tavolo per la colazione quando venne raggiunto da Monica, che non vedeva l'ora di raccontargli l'avventura notturna.

Lui ascoltò in silenzio e con attenzione il racconto di Monica, comprendendo lo stato d'animo in cui lei, sola in casa con la responsabilità di due bambini, aveva vissuto la nottata. Poi con calma parlò: «E' stato un  brutto temporale che ha fatto danni in tutta la zona, uno tra i più brutti di questa estate. Ha persino scoperchiato un paio di villette a nord del paese, sulla provinciale.» Poi alzatosi e aperta la finestra le indicò il ciliegio colpito dal fulmine e mezzo annerito. «Il botto che hai sentito é stato causato dal fulmine che lo ha colpito, e il forte boato che ne é seguito, ha spaventato le mucche nella stalla creando il rumore di legno spaccato che hai udito.»

«L'ombra nera che hai intravisto in giardino - proseguì Giovanni - era quella di questo povero cagnolino che frastornato e impaurito cercava rifugio sotto qualche cespuglio del nostro giardino.» Poi concluse: «Questa mattina, tornando dal lavoro ho incontrato un posto di blocco dei Carabinieri. Il Maresciallo De Sanctis mi ha riferito che in una retata avevano arrestato i tre balordi responsabili dei furti nelle abitazioni. Balordi di casa nostra, abitavano nel paese vicino e avevano scelto il nostro per fare i colpi, sperando di non essere identificati.. Dimenticavo di dirti che passando accanto alla casa d'accoglienza degli immigrati, li ho trovati tutti nel campetto accanto che allegramente erano impegnati in una partita di pallone.»

Monica ascoltò in silenzio e con attenzione le parole di Giovanni vergognandosi, dentro di sé, di essersi abbandonata alla suggestione creata da quelle conoscenti catastrofiste incontrate al supermercato del paese.

La giornata era bellissima, l'azzurro del cielo si confondeva all'orizzonte con il giallo delle messi, il ciliegio, nonostante la ferita subita, continuava il suo ruolo di "custode" delle coltivazioni. Le rose del suo giardino erano li a rassicurarla.


La paura genera le paure, e Monica ne aveva preso atto quella notte. Oggi era un'altro giorno.

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