La leggenda della vecchia Annerot e dei botton d’oro


Questa è una leggenda, dimenticata anche dai nostri nonni, che narra di una vecchia e cattiva signora, e del suo fido consigliere, che abitavano in una caverna alle pendici di un monte chiamato Alberg.

Ve la voglio narrare.

Molti, molti anni orsono, in un antro buio e umido, alle pendici dell’Alberg, abitava una vecchia bitorzoluta , di nome Annerot,  sempre accompagnata dal suo fido servitore e consigliere, che cavalcava un nero destriero metallico tuonante.

Il monte, con le sue alte guglie rocciose, era circondato da profondi precipizi alla base dei quali verdeggiavano alte  abetaie frammezzate da rigogliosi cespugli di rododendri e gigli martagoni che ingentilivano le asperità delle vette sovrastanti.

Invidiosa per le bellezze del paesaggio che la circondavano e per i montanari del luogo, accompagnati da amici e conoscenti, che salivano i tortuosi sentieri per ammirare le bellezze della zona, la vecchia bitorzoluta Annerot cercava in tutti i modi di spaventarli con spaventosi ululati e con sassaiole che mettevano in apprensione tutti quelli che osavano avventurarsi nei tranquilli boschi.

Anche i numerosi caprioli che brucavano la tenera erba dei pascoli nell’udire quelle urla strazianti e il rumore dei sassi che rotolavano a valle, scappavano impauriti e tremolanti nascondendosi nel fitto del bosco.
In alcune notti invernali, le urla si udivano anche a valle, nelle case delle contrade e, nelle stalle, le mucche terrorizzate smettevano di dar latte.

Gli abitanti delle contrade a valle sussurravano tra loro, nelle serate invernali trascorse nel caldo delle stalle, che su quel monte si era insediato Lucifero, scacciato persino dagli altri diavoli dell’Inferno per la sua cattiveria. Assieme a Lucifero avevano pure scacciato il suo fido consigliere, tanto malevolo e vendicativo da incutere paura agli stessi diavoli infernali.

Ma la loro principale preoccupazione era la vicenda della mancanza di latte, tanto più grave perché impoveriva anche il commercio della zona e toglieva loro il magro guadagno dell’unica attività invernale.
Infatti i commercianti della pianura che salivano con i muli prima dell’alba per riempire gli otri di latte e rivenderlo nei loro negozi, nella parte più stretta e angusta della valle s’imbattevano in un diavolo, vestito di nero che cavalcava un destriero metallico dagli occhi gialli , accompagnato da tuoni e scoppi, e che urlava frasi minacciose e incomprensibili  Impauriti da tale demonio evitavano quella vallata e si rifornivano altrove.
Gli abitanti delle contrade non sapevano cosa fare, la carestia cominciava a mietere vittime tra le persone più anziane, i bimbi dimagrivano a vista d’occhio ed anche il bestiame deperiva continuamente mettendo in seria discussione il magro capitale dei contadini.

Una sera, gli abitanti si riunirono nella stalla più grande, vincendo la paura dei possibili malefici della vecchia, per decidere come poter risolvere la sempre più pesante situazione. Molte discussioni, molte idee, ma poco realizzabili e alla fine si ritrovarono allo stesso punto di partenza: la paura aveva avuto il sopravvento sulla fame.

Il silenzio era calato nella stalla, gli uomini si carezzavano la barba, le donne stringevano al petto i piccini che chiedevano cibo: la disperazione si toccava con mano.
Nel silenzio una voce dal fondo della stalla attirò l’attenzione dei presenti. Era quella di un giovane che era sceso in pianura per vendere al mercato due caprette: “So di un Mago che conosce gli artifizi per sconfiggere streghe e malocchio !”.  “Dovremmo farlo salire in valle e chiedergli di usare i suoi poteri per togliere la “pestilenza” che ci affligge”.

Decisero, tutti insieme, di verificare quest’ultima possibilità e lo chiamarono.
Il Mago salì a dorso di mulo l’impervio sentiero che conduceva all’antro della vecchia Annerot; si nascose dietro gli ultimi cespugli al limitare del bosco e osservò con attenzione e pazienza la situazione. Poi, togliendoli dalla sua bisaccia, pose tanti specchietti, come piccoli occhi, attorno all’ingresso dell’antro in modo tale che, al sorgere del sole, i raggi fossero indirizzati all’interno della grotta illuminandola a giorno e si addormentò tranquillo.

All’alba del mattino successivo era nuovamente sveglio a osservare l’effetto del suo sortilegio. Come i raggi del sole nascente colpirono gli specchietti approntati la sera precedente, questi s’illuminarono come bottoni dorati e riflessero una forte luce nell’antro della vecchia.

Svegliata da tanto chiarore e abbagliata dall’intensa luce, la vecchia Annerot chiamò terrorizzata il suo servitor consigliere, insieme balzarono sul cavallo metallico tuonante, uscirono velocemente dall’antro senza accorgersi del profondo precipizio accanto e precipitarono urlando sul fondo irto di rocce acuminate.

Il Mago soddisfatto del suo lavoro, risalì sul dorso del mulo e fece ritorno alle contrade, dimenticando gli specchietti che ancora riflettevano una luce dorata sull’Alberg e che dai valligiani furono chiamati “botton d’oro”, fiori che ancor oggi nascono nei pascoli alpini.

Il mago fu festeggiato assieme al giovane che aveva avuto l’ingegnosa idea d’invitarlo; le mucche ripresero a far latte e lungo la mulattiera che saliva dalla pianura tornarono a transitare i commercianti con i loro muli. La valle era rinata e della vecchia Annerot e del suo cattivo consigliere si perse la memoria.

Per molti anni questa leggenda fu  raccontata nelle fredde sere invernali, oppure quando il vento fischiava ululando tra le abetaie, nelle stalle della valle poi col passare del tempo venne dimenticata.


La riscoprì su un vecchio e polveroso manoscritto Ariberto il menestrello.

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