Quella volta che salii alla Presanella.

Rifugio Denza e la parete nord della Presanella

Me l'aveva indicata il mio compagno di ascensioni anni prima, quando in scooter, scendendo dal Tonale per salire a Peio e, poi, al Cevedale mi aveva promesso che l'avremmo salita nell'estate successiva. Passarono molti anni ma quella promessa non riuscii a mantenerla.

Anni, molti anni dopo......

Eravamo sette amici appassionati di montagna che in una giornata di settembre organizzarono la salita alla Presanella.

Le previsioni del tempo erano favorevoli e, da notizie ricevute da altri conoscenti, la situazione del ghiacciaio era ottima, una ventina di centimetri di neve lo coprivano quanto bastava, comunque, per poter vedere eventuali crepacci.

Da Vermiglio, tramite una strada sterrata, riuscimmo a portarci al bivio per il Forte di Stavel, dove dopo aver parcheggiato imboccammo il sentiero costruito dai militari nella prima guerra mondiale.

Un susseguirsi di gallerie  e splendide visioni della valle sottostante ci accompagnò sino al Rifugio Denza.

Dal Rifugio il panorama mozzafiato spaziava sul ghiacciaio e sulla parete nord della Presanella. Dal terrazzamento prospiciente era possibile osservare alcune cordate di alpinisti che l'affrontavano.

Erano individuabili grazie al colore sgargiante delle loro camicie: stavano salendo ma, per sera, sarebbero rientrati al Rifugio.

La nostra ascesa era programmata per il giorno successivo pertanto, nel pomeriggio, ci portammo al limite del ghiacciaio per osservarlo meglio e notammo le tracce lasciate da coloro che nella mattinata avevano seguito la via normale com'era nelle nostre intenzioni. Le informazioni ricevute sulle condizioni d'innevamento erano esatte.

Ci coricammo abbastanza presto, quella sera, non prima di aver osservato, con il riflesso della luna, i bianchi seracchi della parete nord.

Ma quella parete era fuori dalla nostra portata.

Il mattino successivo sveglia alle cinque, veloce colazione e partenza. Il ghiacciaio l'avremmo affrontato con il sole ancora basso all'orizzonte e con la neve abbastanza compatta.

Al termine dello sfasciume della morena, indossammo i ramponi, preparammo le piccozze e ci dividemmo in due cordate.

La prima parte del pendio era abbastanza agevole, superammo un paio di crepacci in sicurezza e iniziammo la parte più scoscesa. Dietro di noi iniziavano ad arrivare altre cordate ed era meglio non farci superare per non aver problemi sulla cresta che portava in vetta.
Il capocordata, molto sicuro ed esperto ci consigliò di salire in linea retta evitando di zigzagare per guadagnare tempo. Ottimo consiglio, ma molto faticoso. In alcuni tratti la neve era scomparsa sul ripido pendio e il ghiaccio luccicava e strideva sotto i ramponi.
Raggiungemmo la cresta molto prima della altre cordate e la percorremmo con tranquillità senza l'assillo di chi avrebbe voluto superarci.



Da lassù lo spettacolo era fantastico e, sino all'arrivo dei componenti delle altre cordate, potemmo ammirarlo in un religioso silenzio.

La cresta che precede la vetta

Eravamo le aquile che dall'alto dominano le vette delle alte montagne, delle nevi eterne dei ghiacciai e delle profonde e verdi vallate. Ci sentivamo liberi e leggeri e il mondo sembrava nostro.

Il tempo di scattare qualche fotografia, rifocillarci  e dissetarci e via per il ritorno; avremmo pranzato al Rifugio.



La discesa la percorremmo seguendo le nostre peste lasciate nella salita, nessuno le aveva seguite e, in breve, raggiungemmo la parte meno ripida. Il resto era una passeggiata senza ramponi e con lo spirito di chi aveva raggiunto la meta prefissata.

Dopo pranzo, seduti sul terrazzamento prospiciente il Rifugio, ci scambiammo le impressioni della nostra "avventura".


Poi, un'ultima occhiata alla bellissima parete nord e una breve sosta alla cappelletta in ricordo dei militari scomparsi nella Grande Guerra, riprendemmo la via del ritorno.


Era stata una bellissima giornata.

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