Il "calcio di rigore" di Leo.



Il "calcio di rigore" di Leo.

Leonida, da tutti gli amici chiamato con il diminutivo di Leo, era un appassionato di calcio.
Sin  da ragazzo seguiva, tramite la trasmissione radiofonica "Tutto il calcio minuto per minuti", , tutte le partite esultando quando il radiocronista gridava «Gol !", indifferentemente rispetto alla squadra che lo aveva realizzato.

Nelle partite, giocate con gli amici della compagnia sul campetto vicino casa, sceglieva il ruolo del centravanti sognando di ripetere le prodezze dei suoi idoli Hidegkuti, Meazza, Nordahl, ecc., ma con scarsi risultati.

Insisteva nel tenere la palla tra i piedi, sperando di trovarsi a tu per tu con il portiere avversario e uccellarlo, secondo la definizione del grande Gianni Brera, con la palla in rete.

Invano !

I compagni di squadra scuotevano la testa per questa sua cocciuta insistenza che non produceva alcun risultato e lo irridevano.

Ma a Leo i rimproveri scivolavano sopra la testa e, immancabilmente, quando si trovava il pallone tra i piedi ripeteva testardamente i tentativi precedenti.

Nella vita Leo, al contrario, era tutt'altro. In buona sostanza era un "difensore". Subiva le esuberanze degli amici pur tentando, inutilmente e con poca convinzione, di assumere l'iniziativa portandola a buon fine.

A scuola le ragazzine, alle quali indirizzava la sua preferenza, gli venivano costantemente "soffiate" da compagni più intraprendenti che lo precedevano.

Nel tempo, anche nelle compagnie che frequentava accadeva la stessa cosa; non faceva in tempo a costruire una relazione, appena oltre la casuale amicizia, che subito un amico lo anticipava lasciandolo con un palmo di naso e con il dubbio di non essere sufficientemente simpatico da catturare la loro attenzione.

Ed anche quando, almeno all'inizio, riusciva ad intrecciare un briciolo empatico, non insisteva nell'andare oltre lasciando ad altri il campo libero.

Diventò introverso, scostante con gli amici della compagnia e si isolò nelle sue fantasticherie calcistiche.

Il parallelismo con la sua passione per il calcio risultava evidente: era fallito come attaccante e risultava "non pervenuto" come difensore. La rete agognata e l'esultanza per il risultato doveva ancora attendere, anche nella vita.

Alcuni anni dopo a Leo capitò la "partita" della vita.

Conobbe Marilisa, una biondina che incontrava spesso sul treno alla quale, solo per un caso fortuito, aveva rivolto parola: aveva dimenticato una rivista sul sedile dello scompartimento. Leo l'aveva rincorsa e gliel'aveva consegnata, ricevendo, oltre ai ringraziamenti, un bellissimo sorriso.

Questa volta, Leo, non aveva amici o compagni invadenti accanto. Tra la folla anonima dei vagoni del convoglio si sentiva rinfrancato, non ossessionato dalle battute ironiche dei suoi "persecutori" e dalla preoccupazione che altri potessero in qualche modo interrompere il feeling  che stava lentamente nascendo con Marilisa.

Decise, così, che quella sarebbe stata la sua partita, la "partita della vita".

Per qualche tempo si frequentarono anche dopo il lavoro giornaliero. Una passeggiata nel parco, una pizza assaggiata seduti accanto sul basamento di pietra della statua di Garibaldi, un invito al cinematografo a confidarsi, l'un l'altra, progetti futuri.

Con lo scorrere delle settimane e dei mesi, Leo aumentava il pressing sulla ragazza accorgendosi che stava nascendo qualcosa oltre la semplice amicizia e sempre più consapevole  di essere corrisposto.

Gli assist gli erano forniti dal compleanno, dalle ricorrenze, ed erano sfruttati con mazzi di fiori, con una boccetta di profumo o con l'invito a cena.

Poi decise che era arrivato il momento del "calcio di rigore".

Con i risparmi che aveva accantonato da tempo, acquistò un piccolo e prezioso anellino con brillante. L'orafo che glielo procurò, un vecchio conoscente della sua famiglia, lo rassicurò che quella piccola scheggia lucente era un diamante.

Non era il Koh-i-Noor, sicuramente, ma  nemmeno un coccio di vetro; e poi, pensava Leo, «non bastava, forse, il pensiero?».

Una sera di primavera, dopo la passeggiata nel parco e il solito trancio di pizza assaggiato ai piedi della statua di Garibaldi, Leonida, chiamato dagli amici Leo, estrasse dalla tasca la scatoletta con l'anello, la porse nella mano di Marilisa e calciò il suo rigore: «Marilisa, mi vuoi sposare ?».


Inutile raccontare che la palla entrò in rete!




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