La trattoria
del “Severo”.
All’ingresso
della Frazione di Zambla Bassa esisteva il “Severo trattoria con alloggio”.
Un
fabbricato rosso mattone, all’imbocco della mulattiera che sale alla Frazione
di Zambla Alta, circondato dai prati e di lato ad una fresca valletta.
All’ingresso
il bar – osteria, a sinistra la sala da pranzo dalla quale uscivano intensi
profumi di coniglio arrosto, brasato e altre pietanze tipiche delle nostre
valli.
La cuoca era
eccezionale.
Da una
scala, a lato del bancone di mescita, si saliva ai piani superiori composti di stanze
da letto con il pavimento in legno.
In buona
sostanza, una tipica casa di montagna, senza pretese ma accogliente.
All’esterno,
sotto alti e fronzuti alberi, un campo per
il gioco
delle bocce, sempre affollato nelle ore serali estive.
Non era l’unica trattoria di Zambla
Bassa, ma l’ambiente era particolarmente frequentato per i refoli di venticello
che al calar del sole, complice l’ombra degli alberi, erano particolarmente
graditi.
Al ritorno delle passeggiate
pomeridiane era di pragmatica sostare lì sotto e rinfrescarsi con un bel calice
di “bianchino con una spruzzata di amaro”, la specialità di quei tempi, il Nettare
di Bacco che metteva in circolazione i succhi gastrici richiedendo, alimentati
dal profumo proveniente dalla cucina, l’adeguata cena.
Per qualche anno, la trattoria era
l’unico posto telefonico pubblico al quale si rivolgevano residenti e
villeggianti per collegarsi al “resto del mondo”.
I cellulari non erano ancora stati
inventati e, anche nelle seconde case i telefoni erano una rarità.
All’esterno un Jukebox, attorniato da ragazze e
ragazzi, diffondeva i tormentoni estivi dell’epoca con la scarsa comprensione
dell’ostessa, la signora Gioconda, per l’eccessivo e rimbombante suono delle
musiche scelte.
Non erano
sicuramente valzerini e mazurche.
Il Jukebox,
successivamente, emigrò più in alto e trovò rifugio nel Bar della Monica, su
alla Costa, e con la scatola sonora emigrò anche la turba imberbe.
Quando la
turba vociante dei ragazzi si allontanava, richiamata da altri interessi e la
musica cessava, si udiva il “toc” della boccia che colpiva il legno in fondo al
campo, e qualche colorita imprecazione del giocatore che aveva sprecato il suo tiro.
Con i
ricordi di quando ero bambino e dalle finestre di casa mia, in via Porta
Dipinta, nelle serate d’estate proveniva lo stesso lieve rumore del gioco delle
bocce della Trattoria Maggi, alla Fara.
Tralascio i
ricordi giovanili, che inevitabilmente si accostano a situazioni vissute in
tempi più recenti e ritorno alla Trattoria del “Severo”.
La Trattoria
del Severo era in perenne competizione con l’altra locanda, posta a poche
decine di metri che fungeva pure da tabaccaio: quella della signora Sandra.
Anche
quest’ultima provvista di campo per il gioco delle bocce ma, per quanto
ricordo, poco frequentato anche se da quel campo la vista sulla Conca di Oltre
il Colle e sull’Alben era altrettanto bella.
Un
particolare ricordo del “Severo”.
Ero salito
una giornata d’inverno e la neve era alta. La sera, mentre la nevicata
continuava fitta, mi dovetti recare alla trattoria per comunicare con casa.
Entrai nella
sala e fui accolto da una fitta nebbia accompagnata da un acuto odore di sigaro
e pipa. I tavolini erano tutti occupati dagli anziani del luogo che giocavano a
carte senza smettere di “pompare” energiche volute di fumo azzurrastro.
E mentre
giocavano, fumando, riuscivano anche a “smoccolare”.
Fu la
telefonata più breve della mia vita.
Gallicus
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